Viaggio nell'iconografia "della pala "di san Sebastiano
a cura di
Giovanni Morale
La Pala di San Sebastiano
Un breve percorso iconografico
Palazzolo Acreide gode fin dalla colonizzazione greca di celebri tradizioni legate al teatro e all’arte tersicorea; la cittadina iblea è stata, infatti, uno dei massimi centri culturali nella Sicilia orientale già alcuni secoli prima di Cristo. Nonostante la popolazione sia da sempre legata all’agricoltura e vi siano, soprattutto in epoche passate, non poche difficoltà di comunicazione, sappiamo che uno dei più grandi autori rinascimentali, Antonello da Messina, ha eseguito per la chiesa dell’Annunziata la tavola, ora esposta al siracusano Museo Bellomo, raffigurante l’incontro dell’Arcangelo Gabriele con Maria.
In questo contesto certamente non marginale nella Storia dell’arte, si collocano sia la presenza di momenti religiosi e civili sia una pia devozione popolare, consolidata nei secoli.
La cittadina vede la coesistenza, talvolta vivace, principalmente di due importanti centri devozionali: il primo legato all’Apostolum Gentium, san Paolo, l’altro al soldato romano martirizzato di Diocleziano, san Sebastiano.
Entrambi i santi godono di straordinari primati all’interno non solo nella Storia della Chiesa ma anche nel panorama agiografico. Il primo, come afferma non senza sarcasmo Friedrich Nietzsche, è il vero fondatore del Cristianesimo, mentre il secondo è tra i santi più celebrati del Martirologio Romano.
La Pala che raffigura in martirio del santo, avvenuto a Roma nel IV sec., secondo quanto riferitoci dalla ‘Depositio martyrum’ risalente al 354, che lo ricorda al 20 gennaio e il “Commento al salmo 118” di s. Ambrogio (340-397), dove dice che Sebastiano era di origine milanese e si era trasferito a Roma.
Il grande dipinto fu composto per la Basilica di Palazzolo nel 1713, come attesta la datazione in basso a destra, tuttavia ignote, per ora, l’autore. Con ogni probabilità il pittore è da ricercare nella cerchia iblea di quegli anni, ricca di un fermento artistico derivante dal terribile terremoto del 1699 che distrusse gran parte della Val di Noto.
Il dipinto è stato commissionato per la chiesa, proprio per l’altare maggiore come attesta la precisa corrispondenza degli stucchi e la corretta proporzione della tela in relazione allo spazio architettonico.
L’iconografia assai ricca vede diversi elementi agiografici e iconologici, che non trovano esempi nel panorama pittorico della pittura occidentale; questo fatto attesta maggiormente la particolare fede e devozione della committenza che voleva certamente esaltare le innumerevoli doti del santo protettore.
Al centro della tela, il protagonista, Sebastiano che fu condannato ad essere trafitto dalle frecce; legato ad un palo in una zona del colle Palatino e colpito da frecce dai soldati fu lasciato romani che appaiono in basso a destra. In alto un angelo porta la palma simbolo del martirio e certezza di essere già chiamato nell’esercito dei Giusti in paradiso. Tuttavia la presenza dell’angelo con la palma preannuncia la gloria celeste che non avviene, però, nel momento del lancio delle frecce. Infatti, la tradizione vuole che Sebastiano non muoia: la nobile Irene, infatti, vedova di s. Castulo, andò a recuperarne il corpo per dargli sepoltura e la pia donna si accorse che il tribuno non era morto e trasportatelo nella sua casa sul Palatino, prese a curarlo dalle numerose lesioni. Miracolosamente Sebastiano riuscì a guarire e poi nonostante il consiglio degli amici di fuggire da Roma, egli che cercava il martirio, decise di proclamare la sua fede davanti a Diocleziano.
L’imperatore è raffigurato a destra su un trovo circondato da altri patrizi romani, mentre agli cristiani, soggetti alle sue violente persecuzioni, sono raffigurati in basso a sinistra stabilendo un continum nel processo della narrazione pittorica. L’epilogo della storia del santo è ben noto agli abitanti del borgo ibleo: Diocleziano, infatti, ordinò che il santo fosse flagellato a morte con un’esecuzione che avvenne nel 304 ca. nell’ippodromo del Palatino, il corpo fu gettato nella Cloaca Massima.
Nel pala dell’altare maggiore compiono in alto a sinistra due figure: Cristo e la Vergini assisi su una nuvola, sotto di loro i cristiani perseguitati. Cristo veste i panni di Dio-Zeus con le frecce dei flagelli che mitologicamente definiscono le pene inflitte agli uomini. Ecco la chiave di volta di tutta la tessitura pittorica: Sebastiano protegge dalle “frecce celesti” il popolo a lui devoto e fa ritornare al Padre i “dardi”, le prove che la divinità sta per lanciare sugli uomini. Ecco perchè copiosa è la tradizione iconografica relativa al santo, in qualità di protettore ed ausiliatore presso Dio dell’umanità. La tradizione vuole che la piaga divina peggiore fosse la peste ecco perchè Sebastiano è associato a san Rocco come protettore delle epidemie e dei cataclismi. Forse l’antica devozione palazzolese è da ricercare proprio in fenomeni epidemici che hanno caratterizzato il medioevo e i primi anni del Seicento. Non da ultimo la devozione è certamente aumentata nella popolazione assai provata dal terremoto fine seicentesco a tal punto da commissionare una pala d’altare pochi anni dopo quasi a propiziarsi benigne grazie celesti.
Giovanni Morale (critico d’arte)